Quell’ultimo passo

Roberto Beccantini9 dicembre 2021

Sul campo, i titoli non riescono sempre come in tipografia. Immagino i cortei dei furbetti del risultatino. Atalanta-Villarreal 0-3, poi 2-3. Ma come, proprio la Dea? Proprio l’Ego di Bergamo? Sì, proprio loro. Succede. Un po’ meno in Italia, un po’ più in Europa, ma succede. L’Atalanta, per essere sé stessa, deve sempre essere «troppo». E’ così che Gasperini l’ha spinta oltre la cuccia della normalità. Marcare a uomo andando avanti, non indietro.

E allora? Il Villarreal, ecco, in Spagna se la passa male (è tredicesimo), ma ha vinto l’ultima Europa League. Unai Allegri (pardon, Emery) ha tolto spazio all’avversario, intasandolo ad arte. E poi il gol-lampo, cruciale. Foto-copia di quello di Mertens al Maradona: con Danjuma che sfugge a un equivoco Demiral-De Roon addirittura dalla sua metà campo. Robe da matti.

L’Atalanta doveva «solo» vincere. Il Villarreal poteva «anche» pareggiare. Zapata a parte, non uno che abbia cercato di ribellarsi alla camomilla del sottomarino giallo: né Ilicic, né Pessina, né Freuler. Latitava persino il «gegenpressing». Prova ne sia l’agio con cui gli spagnoli, di raffinato fraseggio, hanno cesellato il raddoppio di Capoue. Vi raccomando Gerard Moreno.

Alla ripresa, ancora Gerard Moreno e ancora Danjuma, con Toloi (e non un parente in visita) puntato alla schiena, come una pistola. Quando l’Atalanta ha alzato un po’ di polvere – gol di Malinovskyi e Zapata, traversa dell’ucraino e palo di Muriel – era tardi. Per un’ora era sembrata un’italiana qualunque. L’integralismo castrista del Gasp, la dottrina dei tre terzi posti in campionato, delle due finali di Coppa Italia, di un quarto e un ottavo di Champions, verrà destrutturato fino allo sberleffo. Europa League, adesso. E quell’ultimo passo che la fase difensiva (5 gol dal Manchester United e dal Villarreal, 3 dallo Young Boys) frena. Morire in piedi o vivere da seduti? Ognuno sceglie il suo destino.

Dalla Russia con…

Roberto Beccantini8 dicembre 2021

Dal momento che il calcio è metà scienza e metà inscienza, le natiche del prode Max ricevono dallo Zenit una palpatina che, sono sicuro, la Vecchia Signora non denuncerà (absit iniuria verbis): il 3-3 che blocca il Chelsea spalanca il primo posto del girone alla Juventus.

La partita dello Stadium, l’unica che ho visto, passerà alla storia, se mai vi passerà, per interposto risultato. L’1-0 al piccolo Malmoe, fresco dell’ennesimo scudetto, è figlio di un gol di Kean, che brucia, di testa, Diawara, su raffinato esterno sinistro di Bernardeschi. Il resto è un fritto misto di possesso e di occasioni che il portiere in alcuni casi agevola e in altri sventa.

Come Tuchel a San Pietroburgo, Allegri ricorre a un congruo turnover. Per un tempo, si morde alto, si punta, in fretta, al recupero della palla («gegenpressing»). Alla distanza, in compenso, la squadra si rilassa e arretra, ma gli svedesi non creeranno nemmeno un mezzo brivido.

Debuttava, da titolare, Koni De Winter, belga di 19 anni: schierato sulla fascia destra, fa il soldatino, fa il compitino. Le volte in cui si propone, con o oltre Bernardeschi, lo fa con la timidezza degli esaminandi. Torna spesso indietro. Saranno stati ordini? Sarà stato il pudore di sbagliare una consecutio? Al Bar sport l’ardua sentenza, anche se immagino di conoscerla.

E poi Arthur. Fra Rabiot (a destra, a sinistra, a volte in mezzo, a volte boh) e Bentancur. Il brasiliano è il solito album di tocchi laterali, con un tiro, uno solo, che sibila vicino al montante. Morata rileva Dybala e si pone al servizio di Kean. Se era nervoso, lo maschera bene: stop. Da segnalare, ancora, il ritorno di De Sciglio e gli spiccioli di gloria concessi a Da Graca e Miretti. Dopodiché, improvvisa, arrivò in tavola l’insalata russa.

Com’è triste Milano

Roberto Beccantini7 dicembre 2021

Inter seconda, Milan fuori da tutto: è andata così. Precedenza, noblesse oblige, al Bernabeu. Carletto Allegri (pardon, Ancelotti) ha lasciato che la partita la facesse Inzaghi. E i suoi l’hanno fatta, soprattutto all’inizio. E’ stato il «tridente» a tradire: Lau-Toro, Dzeko e Calhanoglu. In Europa è diverso, quante volte devo ripeterlo? Giocavano di contropiede, i blancos. Il gol, però, lo hanno realizzato ad avversari schierati: perché il calcio non è (solo) lavagna. Consegno il sinistro di Kroos agli esteti. E pure il palleggio di Modric, Casemiro, persino di Jovic; e del tedesco, naturalmente. Il mio regno per i loro alluci. O almeno per uno.

Un palo di Rodrygo, qualche mischia dalle parti di Courtois, e l’idea di un calcio felpato, equilibrato. In avvio di ripresa, Barella ha sprecato il pari e poi, dal momento che, Var o non Var, il Bernabeu è sempre il Bernabeu, una «reazion picciola al cammino», su Militao, colonna della difesa, gli è costato il rosso. Benedetto ragazzo. Era il 64’. Era proprio il caso di togliere Brozovic? Ciò premesso, i cambi hanno dato più a Carletto che a Simone. Per esempio, Asensio e il suo sinistro a giro. Il Real ha vinto le ultime quattro sfide con l’Inter, di corto o lungo muso: rimane un divario di qualità che qua e là scompare, qua e là riappare. Ma alla fine resta. E occhio: se non c’era De Vrij, non c’era neppure Benzema, che sta ad Ancelotti come Lukaku stava a Conte.

Si compie, a San Siro, la mesta ritirata del Milan. Non basta il gol di Tomori. Maignan e lo stesso Tomori propiziano l’aggancio di Salah e il sorpasso di Origi. A Pioli mancava mezza squadra, Klopp aveva liberato un sacco di riserve. Sei vittorie su sei, il Liverpool. E, nella notte, una velocità di crociera e una fame (delle seconde linee) che hanno spinto Ibra e Kessié alla resa
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